di Sofia Guidetti
Carmine Zoccali (nella foto) Direttore dell'U.O. di Nefrologia, Dialisi e Trapianto e Centro dell'Ipertensione arteriosa, Reggio Calabria nonché Presidente dell’European Renal Association and European Dialysis and Transplantation Association, racconta in questa lunga intervista che il numero di pazienti italiani con insufficienza renale, di vario grado, è molto elevato ed è stimabile fino a sette milioni.
Zoccali è autore di oltre 600 lavori scientifici su riviste internazionali indicizzate su PubMed, ha ricevuto vari premi internazionali, incluso l’international award della American Kidney Foundation, ed è membro onorario delle Società Polacca e Spagnola di Nefrologia.
Professore si stima che siano più di 50.000 i pazienti nefropatici assistiti nelle strutture della Nefrologia italiana, di cui più di 34 mila in dialisi su 9 mila “posti-rene" e il rischio è che aumentino anche nei prossimi anni. Quali sono le migliori misure di prevenzione per arginare questo grande problema?
“Cinquantamila è una stima approssimata di tutti i pazienti con insufficienza renale allo stadio più avanzato che vengono trattati con la emodialisi o la dialisi peritoneale. Il numero di pazienti con insufficienza renale di vario grado, dal grado lieve a quello più avanzato, è molto più alto ed è stimabile tra 4 e 7 milioni, la gran parte dei quali (circa il 98%) hanno un grado di insufficienza renale lieve o moderata. L’insufficienza renale è una malattia cronica innescata da varie cause. Le principali sono l’ipertensione, il diabete, l’obesità.
Altre cause, molto meno frequenti, sono le glomerulonefriti, alcune malattie immunologiche e le malattie genetiche. Quindi, prevenire l’insufficienza renale vuol dire soprattutto combattere ipertensione, diabete e obesità.”
Una valutazione dell’impact factor del Corriere della Sera di circa 10 anni fa collocava il gruppo calabrese, guidato da Lei, ai vertici fra i centri di eccellenza in nefrologia: secondo in Italia dopo l’istituto Mario Negri di Bergamo e terzo in Europa. E’ cambiato qualcosa da allora?
“Nel 2017 il CNR di Reggio Calabria dedicato alle Malattie Renali ha prodotto 46 lavori scientifici su riviste internazionali indicizzate nella Public Library of Medicine. Solo il Mario Negri di Bergamo ha pubblicato più del gruppo di Reggio Calabria in Italia lo scorso anno. In Europa il Gruppo rimane tra i centri più produttivi anche se non si può qui fare una classifica che, come fece il Corriere della Sera circa 10 anni fa, richiederebbe informazioni dettagliate sugli altri Paesi, cioè una nuova analisi paneuropea. Comunque, a testimonianza della stima che gode il gruppo in Europa, come Lei ricorda in una domanda successiva, posso dire che attualmente sono Presidente della Società Europea di Nefrologia”.
Quanto è importante controllare la creatinina nel sangue? Campagne di comunicazione potrebbero essere di aiuto a tal proposito?
“La misura della creatinina nel sangue, l’esame delle urine e la misura della perdita di albumina nelle urine sono i cardini per lo screening dell’insufficienza renale. Con questi semplici esami si può classificare l’insufficienza renale in 5 stadi, da quello lieve (stadio 1) a quello più avanzato (stadio 5) che richiede la dialisi o il trapianto. Il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità in questi ultimi anni hanno intensificato la comunicazione e varato campagne per la prevenzione dell’insufficienza renale coniugandola a quella di altre malattie croniche alla quali l’insufficienza renale è strettamente legata, come diabete, obesità e ipertensione ma non bisogna abbassare la guardia. Molto rimane da fare.”
Perché spesso si afferma che cuore e rene sono legati a doppio filo?
“I legami tra cuore e rene sono molti e complessi. Indubbiamente il legame più importante è il fatto che il rene, regolando l’eliminazione di acqua e sale, controlla il volume di sangue circolante. Quando il rene non funziona si crea una tendenza a trattenere acqua e sale, sovraccaricando il circolo, aumentando la pressione arteriosa e quindi creando un sovraccarico per il cuore. La causa di morte più frequente nei malati con insufficienza renale sono proprio le malattie cardiovascolari.”
E’ vero che alcuni antibiotici aumenterebbero il rischio di soffrire di calcoli renali?
“Il rene ha stretti rapporti con un altro organo fondamentale: l’intestino. Gli antibiotici come l’amoxicillina – un antibiotico di frequente uso - riducono la presenza intestinale di un batterio normalmente presente nelle feci, l’ Oxalobacter formigenes. Questo batterio metabolizza nell’intestino l’ossalato, cioè uno dei componenti principali dei calcoli renali. Una bassa presenza di Oxalobacter nell’intestino riduce la capacità a metabolizzare l’ossalato che quindi viene assorbito e tende ad accumularsi nel sangue e quindi nelle urine favorendo la formazione di calcoli. Devo aggiungere che ancora si sa poco sul reale contributo degli antibiotici alla calcolosi renale su scala epidemiologica.
Va sottolineato che gli antibiotici scelti in maniera appropriata rimangono fondamentali per la cura delle infezioni urinarie che talora si sovrappongono alla presenza di calcoli”.
In quale direzione sta andando la ricerca e quali speranze ci sono per riparare tempestivamente i tessuti renali danneggiati? Insomma la medicina rigenerativa potrà essere applicata anche in questo campo?
“La possibilità di mettere in campo terapie che rigenerano il tessuto renale danneggiato è un territorio di ricerca promettente. In alcuni modelli sperimentali in vitro le terapie rigenerative del tessuto renale sembrano funzionare. Tuttavia le applicazioni cliniche non sono dietro l’angolo. Molto di più in termini di popolazione si può ottenere con la prevenzione primaria (impedire che le malattie insorgano) e secondaria (identificare le malattie precocemente e impedire che progrediscano) .
Campagne educative che promuovano uno stile di vita salutare e che prevengano diabete, ipertensione obesità hanno un enorme potenziale per la prevenzione delle malattie renali e per quelle cardiovascolari e per le malattie croniche in generale”.
Professore quali sono per Lei le priorità indifferibili che il sistema sanità in Calabria dovrebbe affrontare?
“La sanità calabrese è in una fase difficile. In Nefrologia è stato fatto un riordino impegnativo, razionalizzando e riducendo la spesa. Purtroppo la rete sanitaria in Calabria non ha una tradizione di managerialità diffusa per cui la razionalizzazione ha creato e crea serie difficoltà ai cittadini per ottenere i servizi sanitari di cui hanno bisogno. Le liste di attesa e le disfunzioni sono cose ben note. Per la Nefrologia, le priorità sono rafforzare la rete dei centri dialisi a partire da aree critiche come quella della mia città, Reggio Calabria, ove c’è un insufficiente numero di posti dialisi. Il trapianto renale in Calabria in termini qualitativi (cioè funzionalità del trapianto nel breve e lungo termine) ha risultati senz’altro buoni o più che buoni ma in termini quantitativi i risultati sono indubbiamente deludenti.
Il basso numero di trapianti in Calabria dipende da varie cause ma le principali sono due. La prima è la qualità globale del sistema ospedaliero calabrese che purtroppo è la più bassa in Italia. In questo contesto i centri di Rianimazione spesso sono in sofferenza e molti potenziali donazioni da cadavere sfuggono alla rete regionale dei trapianti. La seconda è finanziaria, cioè il bassissimo investimento fatto sul trapianto. Senza investimenti non ci può essere crescita. Vedo buona volontà ma le analisi sul problema che ho sentito negli ultimi anni sono in genere poco approfondite e i rimedi proposti variano dalla “caccia al colpevole” a velleitari programmi di riforma senza investimenti”.
Secondo Lei gli organi di governo della sanità hanno piena coscienza del problema che la malattia renale cronica è più frequente di molte altre patologie e quanto avvertono la necessità di finanziarne la ricerca ?
“La ricerca sulle malattie renali è sotto-finanziata in Italia come lo è la ricerca scientifica in generale. Il problema è ben noto . La spesa per Ricerca e Sviluppo in % sul Pil è 3.3% in Svezia e circa il 3.0% in Germania, Austria e Danimarca ma solo 1.3% in Italia., una percentuale inferiore a quella dell’Estonia e dell’Ungheria. Senza maggiori investimenti nella ricerca scientifica in generale sarà difficile che la ricerca sulle malattie renali possa ricevere finanziamenti adeguati.
C’è già un livello altissimo di competizione con altre specialità per le esigue fonti di finanziamento esistenti”.
Professore, fino al 2020 presiederà l’European Renal Association and European Dialysis and Transplantation Association, associazione quest’ultima che riunisce oltre 7000 nefrologi e che copre tutti i paesi europei e il bacino mediterraneo. Come si colloca l’Italia nel confronto europeo?
“Nonostante il basso livello di investimento in ricerca, la nefrologia Italiana rimane tra le migliori in Europa. Direi che l’Italia è il quarto o il quinto Paese nella classifica Europea”