di Sofia Guidetti
L’Anestesista Rianimatore, specializzato nella medicina del dolore, è merce rara nel panorama sanitario italiano che non risponde alle esigenze dei pazienti. Molte strutture ospedaliere hanno reparti obsoleti, spesso inutili e i pazienti sofferenti o da riabilitare non trovano una collocazione. C’è bisogno di un serio impegno politico per dare una risposta realistica al bisogno di salute dei cittadini. E’ quanto emerge da questa intervista rilasciata da Franco Marinangeli, docente all’ Università degli Studi dell'Aquila –Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità pubblica e Scienze della Vita e dell’ Ambiente .
Qual è lo stato dell’arte sul trattamento del dolore in Italia ? Esiste un progetto per la riorganizzazione delle reti territoriali sul dolore?
“La risposta è un trattamento a diverse velocità, in numero almeno pari alle regioni se non addirittura alle province. Se da una parte a mio avviso abbiamo assistito a un miglioramento della cultura sul dolore, sia a livello di medicina generale che delle specialistiche, dall’ altra si assiste al paradosso di ospedali dotati di centri di medicina del dolore di eccellenza contrapposti ad aree desertiche. Il problema a mio avviso non è stato affrontato nella giusta maniera dalla politica, che non ha favorito l’applicazione della legge 38. Se la lotta al dolore è un LEA, ci si chiede come è possibile che vi siano differenze enormi sul territorio in termini di qualità delle cure. A ciò si aggiunga il fatto che la figura dell’Anestesista Rianimatore, di riferimento nella medicina del dolore (specialmente per le metodiche invasive) e nelle cure palliative, è merce rara nel panorama sanitario. C’è bisogno di un serio impegno politico per dare una risposta realistica al bisogno di salute dei cittadini. Va fatta una programmazione oggettivo sulle figure professionali indispensabili per affrontare le sfide del futuro, la cronicità e il dolore in primis”.
Cosa è cambiato nell’insegnamento della terapia del dolore nell’università italiane?
“Qualcosa è cambiato, stante il fatto che nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia oggi s’insegna la medicina del dolore acuto e cronico, anche se a mio avviso sarebbe opportuno incrementare lo spazio di questa linea didattica. Qualcosa di positivo accadrà anche sulle cure palliative, che a breve saranno inserite nei piani didattici del corso di Medicina e Chirurgia. Quest’ultimo tema è attualissimo e sicuramente ci saranno novità positive. L’Università si sta finalmente adeguando ai cambiamenti demografici e sta dando la giusta attenzione a un tema centrale nella sanità del futuro. Deve essere dato spazio, a mio avviso, su questi temi anche negli altri Corsi di Laurea. Infermieristica in primis”.
Ci sono progetti in itinere con la società italiana di cure palliative?
“Non che io sappia. Ma ho appena assunto il ruolo di Coordinatore SIAARTI e quindi non ho avuto il tempo di prendere contatto con altre importanti realtà, come quella della SICP. Credo che sia indispensabile fare sinergia con tutte le società che abbiano gli stessi fini di SIAARTI, e abbiano a cuore la lotta alla sofferenza evitabile”.
"End Stage” nel paziente ospedalizzato: Cure Intensive o Cure Palliative?
“Cure palliative, a mio avviso senza se e senza ma. Il tema è fortissimo sia da un punto di vista etico che di politica sanitaria. Va fatta cultura sulla gente, ma paradossalmente su certe problematiche la gente, e soprattutto i più giovani sono avanti rispetto alla classe medica. Poi c’è la medicina difensiva che non aiuta noi Anestesisti Rianimatori nel lavoro di tutti i giorni. Ci si chiede spesso di rianimare pazienti che non hanno alcuna prospettiva di vita, senza alcun razionale. Il problema va affrontato tenendo conto che se vogliamo il bene dei nostri pazienti è giusto lottare per evitare il razionamento della spesa sanitaria, ma altrettanto giusto lottare per razionalizzare tale spesa a favore di ciò che è utile, con la giusta attenzione al problema etico. La recente legge sulle DAT, a mio avviso, se correttamente applicata, ci aiuterà molto anche sul fronte della gestione dei pazienti inguaribili in fase di terminalità di malattia, spesso allocati in setting assistenziali non appropriati. Inutile dire che un’ottimizzazione della rete di cure palliative avrebbe su certi temi un impatto incredibile, con enorme risparmio anche in termini di risorse, oltre che un incremento importante della qualità delle cure sui pazienti inguaribili”.
Una sua riflessione sul futuro della sanità, sempre in riferimento alla cronicità...
“La cronicità porta con sé la necessità di lavorare anche e soprattutto sui modelli organizzativi. E’ molto difficile modificare sistemi vecchi e non più rispondenti alle esigenze dei pazienti attuali o potenziali, ma è un nodo epocale che va superato. Si tengono in piedi strutture ospedaliere con reparti obsoleti, spesso inutili, e i pazienti sofferenti o da riabilitare non trovano una collocazione. Ecco, questo è un tema che merita grande riflessione. Il mondo della cronicità va gestito innanzitutto cambiando mentalità e modelli organizzativi. Le nuove tecnologie informatiche e i sistemi di trasporto veloci che oggi abbiamo a disposizione ci aprono prospettive impensabili fino a pochi anni fa. Intendo impegnarmi molto, nel prossimo triennio sulla ricerca e sulla divulgazione della tecnologia informatica innovativa, sulla trasmissione dati, e sui sistemi di trasferimento veloce dei pazienti all’interno delle reti di terapia del dolore e cure palliative”.
[15 novembre 2018]